Note di Regia.
Attenendoci rigorosamente al testo, abbiamo scelto, fra le cinquantacinque scritte da Calvino, quindici città e dieci appartenenze: memoria, desiderio, segni, cielo, città sottili, occhi, scambi, città dei morti, città e nome, città continue basandosi sulla loro attualità, sui significati della memoria e sulle simbologie che le rendono espressione della necessità di un nuovo dialogo fra civiltà.
Uno dei fili conduttori è il viaggio, quello che intraprendiamo ogni giorno alla ricerca del nostro equilibrio, quello che ci induce alla scoperta di nuove possibilità, quello che può cambiarci intimamente anche se non lo sappiamo, ma anche quello che passa attraverso le nostre terre e i nostri mari, intrapreso da altri esseri umani come noi alla ricerca di una nuova pace e di nuove risposte.
Un altro è il sogno, quello che ci accompagna lungo il sonno, ma anche quello fatto dai nostri talenti e dalle nostre speranze, quello che ci viene in soccorso quando tutto sembra crollare, quello che ci offre il senso del provare, e del trovare e del non arrendersi di fronte alle difficoltà o agli orrori.
I piani di lettura e di rappresentazione sono molteplici e sempre doppi: dall’alto e dal basso, dal mare o dalla montagna, attraverso e attorno, fuori e fin dentro la terra, dei vivi e dei morti, pieno e vuoto, silente e rumoroso, continuo e interrotto.
Ed è proprio questo doppio, che a sua volta si triplica e si moltiplica, il filo conduttore dello spettacolo che mette in scena grazie alla narrazione di un Marco Polo il cui ruolo è suddiviso fra tre diverse persone che rappresentano lo stesso “uno” del quale ciascuna porta alla luce un aspetto diverso, mettendo a confronto ed arricchendo le diversità. In particolare il viaggiatore veneziano è interpretato da tre donne, tre viaggiatrici del tempo, dello spazio; dei sogni e della contemporaneità. Tre viaggiatrici che chiamano lo spettatore anche ad un percorso nella sua immaginazione, nel ricordo di attimi vissuti o nella cattura di corrispondenze con la vita quotidiana. Amara o splendente che sia, non può sottrarsi.
Lo spettacolo non ha un tempo o un luogo specifici, è la provenienza da regioni lontane, steppe, deserti, montagne, mari a uniformare la narrazione che si suddivide in quattro macroscene: un Prologo nel quale il Kan, dall’alto della sua reggia racconta il suo stato d’animo di conquistatore che non riesce a conoscere la realtà del suo impero e il suo incontro con il mercante venuto da Venezia; la scena del Mercato, nella quale le tre viaggiatrici con le loro mercanzie giungono nella piazza ai piedi del palazzo del Kan e dispiegano il mercato; la scena del Bivacco, quando, a notte, riposti gli oggetti, si può sedere attorno al fuoco ed iniziare a raccontarsi storie che faranno compagnia durante il nuovo viaggio; ed infine, la scena della Partita a Scacchi, giocata sul pavimento della reggia di Kublai Kan, quasi una sfida al cambiamento dei tempi (se non addirittura alla morte).
In ognuna di queste macroscene vengono recitate, nella loro integralità, cinque delle città prescelte alternate ad alcuni dei dialoghi fra Polo e il Kan.
I dialoghi fra Polo e il Kan sono invece stati scomposti e ricostruiti nella loro temporaneità, lasciando, per lo più, il testo originale per perseguire il senso più profondo che abbiamo dato alla lettura: ogni città che incontriamo nella narrazione è un aspetto diverso della città ideale che, quotidianamente ipotizziamo e speriamo, quella che rappresenta le nostre aspettative. Ognuno di noi, infatti, giorno dopo giorno realizza una sua città, una metafora del proprio rapporto con la vita. Ognuno si rapporta alla vita con quelle che sono le sue capacità e con i sensi che mette in campo per riuscire a leggere le proposte della vita. Ed ogni città rappresenta qualcosa di noi: sogni, vizi, dolori, immaginario, danza, paura.