Ma com’è il palazzo di Kublai Kan? Come si può rendere in teatro quando lo spettacolo si immagina in un ambiente minimalista, dove sono le parole e le azioni a fare la storia e quello che possono portare con sé i protagonisti?
Calvino descrive Kublai come un “sovrano perfetto, dalla assoluta saggezza e gusto per i piaceri della vita, ma malinconico e con sfumate incrinature psicologiche inafferrabili e ambigue, qualcosa tra una disperazione metafisica e una segreta perversità d’animo dominata dalla ragione” , un personaggio che nonostante tutta la raffinatezza della corte cinese è stato un guerriero e la sua casa non può che rievocare accampamenti e solitudini.
E quali sono i luoghi da cui Marco Polo, o meglio le tre donne che impersonificano Marco Polo, racconta l’impero del Kan?
Le scenografia di Le Città Invisibili ha due caratteristiche: semplicità e ricordi di opulenza, natura e vita. Tutti gli elementi scenici sono di legno o di metallo, di juta o di stoffa, di carta, di spugna, di sabbia, di vetro… Tutti provengono da lontano nel tempo e nello spazio, tutti ci raccontano, a loro volta, nuove storie.
Lo scenografo Cristiano Cascelli ha immaginato i tappeti che ornano e riscaldano le yurte della Mongolia; ha pensato all’opulenza dei decori, ai colori delle lacche e della terra, ma anche del sangue e del sole per realizzare la pedana sulla quale s’erge il trono di Kublai Kan e il trono è un tronco d’albero antico scavato e avvolgente dal quale scende, raggiungendo le assi del palcoscenico, un simbolico drappo rosso.
Cos’altro è Kublai Kan se non un conquistatore e cosa Marco Polo se non un viaggiatore? Un atlante, una carta, un planisfero sono gli emblemi della loro erranza e quelli sono stati creati da Cristiano Cascelli ispirandosi ad antiche mappe ripensate alla luce di un’invisibilità coerente e narrativa.
Il resto sono oggetti: i sacchi, le ceste, i secchi, i paioli, la teiera, il telaio. l’abaco, la forma per il cuoio, le stuoie ricche o semplici che caricano le spalle delle mercanti in cammino e ne sono riposo e conforto nel bivacco notturno ed ancora si trasformano fino a raggiungere la città che forse ancora non è nata.