Herbarie. Le chiamavano streghe

Questo è il titolo del nostro nuovo spettacolo.
Un testo di Silvia Pietrovanni, adattato da Isabella Moroni.
Un testo che parla delle dominae herbarie, le donne guaritrici del medioevo, quelle che vennero perseguitate come streghe, processate, uccise.
Quelle il cui sapere, però, non ha mai smesso di essere tramandato.

L’incontro con questo testo è stato inaspettato.
Silvia Pietrovanni insegna a manipolare le erbe, ma non pensate ad una lezione classica sulle piante e sulle loro proprietà.
Di ogni pianta lei racconta una storia.
Che sia quella mitologica di qualche dea dalle cui lacrime è nata un’erba benefica, oppure storica o leggendaria come quella del famoso profumiere che ruppe la boccetta del suo profumo divino e ne morì di dolore, ma venne trasformato in una profumatissima pianta di maggiorana.
La passione per la narrazione la porta a scrivere testi da rappresentare, meglio se immersa nella natura.

Herbarie. Le chiamavano streghe nasce come un lavoro sull’opposizione fra medicina ufficiale e medicina naturale, antica, tradizionale e, nel tempo, si trasforma nella narrazione incentrata sulla figura ancestrale dell’erborista del popolo e sulle sue origini sacre.

Dententrici di una conoscenza tramandata attraverso i millenni, a partire dalle antiche Dee Madri e dalle loro successive trasformazioni nelle divinità che oggi conosciamo, queste donne erano definite sagge dalla gente del popolo e streghe o ciarlatane dal potere.

Un racconto sospeso fra il ricordo e la realtà di un Medioevo che cede il passo al Rinascimento e che, nonostante il grande splendore, vede inasprirsi (intensificarsi) la forza distruttrice del potere della Chiesa che si abbatte sul sapere femminile attraverso la lotta alle pratiche tradizionali, alla capacità di disobbedire e di ribellarsi, attraverso le pratiche inquisitorie.

Sulla scena Lucia, la giovane herbaria che ha imparato a leggere e scrivere ed ora possiede il sapere della medicina naturale, ripercorre la storia della sua famiglia: della nonna Mercuria che ha tramandato alla figlia Caterina e, dunque, a lei stessa la sua sapienza.
Mercuria, Caterina e Lucia, nella loro terra sono le farmaciste che coltivano le erbe medicinali; sono le levatrici che vanno di casa in casa, sono i punti di riferimento imprescindibili per il popolo. E sono anche le “accabadore” che sanno dare la buona morte.

A spezzare il sodalizio e a cambiare il corso della storia, sarà un Inquisitore, la cui figura appare anche come una proiezione del nostro tempo, ancora permeato del risentimento della medicina dotta e maschile nei confronti di quella popolare e femminile che si avvaleva dell’ascolto del paziente e dell’esperienza diretta sul corpo.

Mercuria soccomberà, ma le altre proseguiranno il loro lavoro lento e globale che è arrivato fino a noi e si sviluppa ancora in ogni angolo, anche il più remoto, del mondo intero.

 

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