Cent’anni sono passati dalla nascita di Italo Calvino, scrittore capace di rinnovare la creazione letteraria ma, soprattutto, di risolvere, con le sue sistematizzazioni, le incongruenze di un’epoca che già cominciava ad essere pervasa da una comunicazione velocissima.
Vogliamo celebrare questo centenario riproponendo Le città invisibili, quel testo che ci è venuto in soccorso oltre sette anni fa, quando cercavamo qualcosa di nuovo da mettere in scena dopo un lungo periodo senza produzioni.
Un testo, che pur essendo così usato nelle scuole (letture, disegni, progetti, rappresentazioni…) in musica (non si contano i compositori che si sono confrontati con Le Città), nella critica letteraria, in urbanistica, in teatro, nelle fiction, etc. non era teatrale e non poteva essere adattato…
Le città invisibili è un romanzo che oscilla fra il racconto filosofico e quello fantastico-allegorico. Calvino lo ha scritto nel corso di circa un decennio organizzandolo secondo una sua personale visione che non era del tutto emotiva, ma che pure rispecchiava la sua passione per i mondi esotici, le avventure e per le sensazioni fantastiche. Quella passione che ha caratterizzato tutta la sua opera consentendogli di unire e mescolare realtà e finzione, realismo e umorismo, leggerezza e inquietudine.
I racconti sulle città – spiega lo scrittore in un’intervista – sono stati concepiti come “Poesie in prosa perché io scrivo racconti da tanti anni che anche quando vorrei scrivere una poesia mi salta fuori un racconto”.
E prosegue: “Se sono riuscito a fare quello che volevo, dovrebbe essere uno di quei libri che si tengono a portata di mano, che si aprono ogni tanto e si legge una pagina… Insomma vorrei che lo si leggesse un po’ come l’ho scritto: come un diario”.
Tecnicamente ha creato varie cartelle nelle quali ha suddiviso le città che man mano si compivano sulla carta: città tristi, città contente, città dal cielo stellato e città piene di spazzatura, spazi, sensazioni, genti diverse, inclinazioni raccolte come fossero fogli di diario.
Nell’intervista citata Calvino chiarisce che il viaggio del veneziano Marco Polo attraverso le 55 città immaginarie, non è altro che il percorso attraverso “la nostra vita”, attraverso quello che “è stata la città per gli uomini come luogo della memoria e dei desideri e di come oggi è sempre più difficile vivere nelle città anche se non possiamo farne a meno”. E quindi, è giusto “interrogarci su cos’è, su cosa dovrebbe essere la città per noi… E se la megalopoli non significhi proprio la fine della città, il suo contrario”. E chiosa: “Forse il vero senso del mio libro potrebbe essere questo: dalle città invivibili alle città invisibili”. Con uno sguardo, se vogliamo, ottimista.
Calvino – spiega Franco Marcoaldi – disegna un atlante metropolitano fantastico e noi lo seguiamo stupefatti. Perché tutti quei luoghi, frutto dell’immaginazione, raccontano al contempo la nostra realtà quotidiana: raccontano la simultanea molteplicità di un mondo che ci illudiamo di conoscere per intero […].
È, infatti, un testo che calza su qualsiasi anima. Ognuno può trovarci pezzi di sé: ricordi di viaggio, visioni, idee, progetti, paure, gioie, poesie, appunti, memorie, stati d’animo, ispirazioni, passioni, immaginari.
È un testo che si presta a infinite interpretazioni perché ciascuno di noi conosce almeno una di quelle città per averla vissuta nella sua forma caotica e frammentata, nel suo sfuggirci proprio quando pensavamo di poterla controllare e di poterne cogliere i frutti migliori.
Come ha avuto modo di dire Alessandra Trevisan, la non-esistenza delle sue città, per sopravvivere, ha bisogno della nostra capacità di figurarle secondo ciò che già abbiamo conosciuto nella realtà: soprattutto in Calvino vive l’irreale irrealtà odierna, che molto ha a che fare con la nostra vita liquida anche.
In profondo accordo con tutto questo abbiamo scelto di dar forma alle città soffermandoci sul linguaggio che genera segni e simboli, crea una vita oltre la vita, ci fa vivere nell’immaginare, nel trasfigurare, nel sublimare la realtà vera e fisica delle cose. Nulla del testo originale è stato cambiato. Solo la posizione dei dialoghi con il Kan è stata scomposta, replicando l’idea portante del libro: il gioco combinatorio.
La combinazione della nostra drammaturgia inizia con la scelta delle Città, preferendo quelle che rievocano qualcosa di contemporaneo o di simbolico. Per poi inoltrarsi nei dialoghi cambiandone parzialmente la disposizione delle frasi con l’idea di rendere comprensibile la scelta fatta e, contemporaneamente, introdurre il contenuto delle diverse città.
Come dice Marco Belpoliti: nel testo di Calvino “non c’è una mappa per attraversare le città continue, l’unica possibilità è nel procedere per punti discontinui, affinché proprio la discontinuità possa indicare il cammino al viandante”.
E proprio sulla discontinuità, seppur organizzata in segni logistico-temporali (il Mercato, il Bivacco, la Scacchiera), abbiamo composto il secondo passo della drammaturgia: provare a immaginare una carta geografica che parta dall’analogia fra le città dai nomi di donna e le tre donne in cui è moltiplicata la figura di Marco Polo. Tre donne, tre figure femminili archetipiche, viaggiatrici del tempo e dello spirito, che suggeriscono la natura corale, arcaica, ancestrale ma anche sfuggente e impersonale del raccontare: la parola e il linguaggio prendono vita con l’essere umano e, a loro volta, lo abitano e lo raccontano.
Tre donne che, in quanto tali, sono capaci di leggere mappe, cieli e venti; sono capaci di curare, tramandare, conservare e tessere storie.
Si dice che Calvino con Le città invisibili perseguisse la ricerca dei legami che esistono tra le cose del mondo, la rete di corrispondenze fra segni controversi e spesso indecifrabili; queste viaggiatrici si inseriscono nei dialoghi tra Marco Polo e Kublai Kan, si fanno guide del continuo passaggio fra i due mondi, quello del guerriero e quello del mercante e, infine, provano a dare la sentenza, tentando di dare, ordine al labirinto del caos.
Abbiamo poi scelto di immaginare Le Città Invisibili come un viaggio non soltanto perché Il Milione di Marco Polo – che dà l’impulso alla scrittura di Calvino – è il racconto di un viaggio, ma soprattutto perché ogni città è un frammento del viaggio della vita, una scheggia di vetro nel caleidoscopio delle esistenze.
E, poiché siamo in Oriente – per quanto si tratti di un oriente ideale e astratto – ritroviamo quelle simbologie irrinunciabili, quell’immaginario collettivo mutuato da altre culture grazie a oggetti, stoffe, musiche, gestualità (la forma del Kalaripayattu, la più antica fra le arti marziali, nata in India, che apre il Mercato) e quindi nulla è casuale. Tutta la drammaturgia che accompagna l’intoccabile lingua di Calvino, è stata elaborata, approfondita, comparata con altri immaginari spesso cinematografici (i gesti della cerimonia del té sono ispirati a Il colore del melograno di Sergei Parajanov; la partita a scacchi prende forma dal Settimo Sigillo di Ingmar Bergman); ci sono richiami alle pratiche delle accabadore, ai vaticini delle sibille, alle pratiche delle sciamane.
Così come la scacchiera, metafora di comunicazione, relazioni e conoscenza, oltre a ricondurre alle regole del gioco combinatorio, raccoglie nei suoi riquadri di legno vivo i miti del destino, la congiunzione tra passato e presente, la necessità di ordinare la vita e la morte, di imparare il distacco, di guardare al futuro.
Nella ricerca, sulle mappe, della città perfetta è lo stesso Calvino a guidarci con quella sorta di preveggenza che gli consentiva di comprendere la contemporaneità: “Forse – afferma lo scrittore – stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana, e Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili”.
La sua scrittura, infatti, riesce a tramutare le città invivibili di oggi in quelle surreali della narrazione di Marco Polo, città che, in qualche momento sono capaci di raggiungere la perfezione.
È questa la sentenza definitiva che le tre Marco Polo offrono a Kublai Kan. Nel suo impero mentre il racconto si fa sempre più immaginifico, quella città sta nascendo.
E ci sta aspettando.
“Una città infelice può contenere, magari solo per un istante, una città felice; le città future sono già contenute nelle presenti come insetti nella crisalide”.
[L’immgine è di Liisa Aaltio]